“GIORNALE DI VICENZA mercoledì 8 novembre 2006”
Speciali pag.33
Donne al silicone
Meglio riderci su (di Nicoletta Martelletto)
Una giovane creativa vicentina rappresenta l’Italia alla Triennale tessile in Slovacchia
Il suo bucato di polimeri è diventato un’opera d’arte
Studi da ceramista, poi da restauratrice. E una passione innata per il riuso di materiali poveri. Un giorno giocando con la pistola a caldo, tra una scenografia e l’altra, l’artista ha creato dei monili. Da qui una collezione di oggetti che oscillano tra lusso e desideri. Di origine scledense, Elvezia abita a Vicenza, in campagna, e non esclude di manipolare la terra…
Che fa la donna del Duemila? Riempie i solchi delle rughe con le microiniezioni di collagene o si fa aiutare dall’acido ialuronico, strizza o allarga il seno con le protesi, si toglie e si mette tanti anni quanti ne paga al chirurgo estetico. Perchè allora non vestirle davvero di silicone queste signore dell’iperbellezza? Perchè non dotarle di un bucato gommato che racconti con ironia le nuove frontiere della femminilità?
Elvezia Allari è figlia della risata meditativa e, in quanto artista, adopera la logica della disanima sugli oggetti. Li raccoglie, li smonta e li ricostruisce trasformandoli in altro, in provocazione quotidiana. Col polimero inorganico ci è andata letteralmente a nozze: ne ha fatto anche un abito da sposa e un burka per lo spettacolo teatrale che lo scorso anno, l’8 marzo, è andato in scena all’auditorium del Mart di Rovereto. In quella occasione Elvezia ha lavorato con Francois Bruzzo, regista e docente di letteratura francese all’università Iulm di Feltre, per realizzare “L’altalena: quadro di donne con sposa”, una rassegna di sei figure femminili dalla bimba all’anziana, «tra fittizie gravità e l’artificiosa perennità» del compromesso con la storia. Su musiche di Arvo Pärt, De Andrè e colonne sonore di Almodovar, la vestizione della sposa evolve in un rito tribale e cede il passo alla trasparenza del burka con gocce di vetro. Gli isalmici non hanno avuto nulla da dire.
C’è qualcosa di più della semplice elaborazione costumistica nell’azione di Elvezia Allari che già in passato ha lavorato con compagnie teatrali: per l’Ensemble Teatro di Vicenza, allora diretto da Giovanni Todescato ed oggi da Roberto Giglio, ha realizzato scenografie di “L’arlecchino in Turcaria” di Goldoni, di “Le elezioni comunali in villa” di Pittarini e ancora “Arlecchino ovvero le metamorfosi di Arlecchino 2000 e una notte” da Goldoni. La consuetudine col palscoscenico le è congeniale, del tutto naturale: nel ’98 al Teatro Astra, epoca in cui il foyer era anche spazio espositivo, portò un singolare omaggio a Goffredo Parise con sei tavole dei 21 Sillabari, in una interpretazione moderna dei sentimenti cantati dal romanziere vicentino. Ma torniamo al suo bucato paraspaziale: è attualmente finito in Slovacchia, perchè Elvezia ha partecipato alla Triennale tessile 2006 di Liptovsky Mikulàs, tre ore di macchina da Bratislava tanto per intenderci. «Anzi per meglio dire – esemplifica Elvezia – 2600 chilometri da Vicenza, li ho percorsi in macchina, me li ricordo bene non finivano mai, puntando dritta verso i monti Tatra».
La triennale slovacca è una delle più interessanti esposizioni di contemporaneità che offra il tessile in Europa: alla fine sono state selezionate 45 opere e quella di Allari è in questa edizione l’unica italiana.Una galleria immensa, la P.M.Bohùna, ospita dalla fine di agosto fino al 3 dicembre prossimo elaborazioni profondamente diverse dal feltro all’arazzo, dal fototessile all’intreccio di plastiche. Il bucato di Elvezia – un abito sottoveste, un reggiseno ed un corpetto – campeggia appeso al filo a ricordare la donna che c’è e non c’è, ad irridere la magia dello specchio e la sua capacità ipnotica. «Volevo divertirmi e divertire, ho capito che il messaggio era passato quando dalla Slovacchia mi hanno chiamato dopo aver fatto le foto delle mie opere» spiega l’autrice. Dopo la sosta a Liptovsky Mikulàs, le sculture tessili saranno trasferite nella città di Martin, nella regione Zilina, ancora più a nord. «Pur in un paese così piccolo, hanno un senso dell’arte elevatissimo, tengono molto alle mostre e mai mi era capitato si incontrare artisti che hanno il piacere di scambiare informazioni, notizie sulle tecniche di lavorazione e ti prendono per mano per illustrarti le loro opere» assicura Elvezia, visibilmente soddisfatta del successo raggiunto oltreconfine. Quanto al suo bucato tornerà a casa in primavera, per rincongiungersi con la vasta collezione di siliconati che caratterizza la penultima produzione della Allari.
E dire che a giocare con la pistola a caldo ha cominciato per noia: «Stavo realizzando delle scenografie per un lavoro sulle donne e il Canaletto – confessa – e nella pausa gocciolavo il silicone, facevo cerchi sul pavimento. I miei primi monili sono nati così, vedendo che prendevano forma una volta raffreddati e che erano oggetti già parlanti, bastava colorarli, aggiungere una pietruzza e diventavano espressivi». Nascono così le serie “Caramellosa”, “Fragolosa”, “Pasticcini”, per non dire del collare che qui indossa in fotografia intitolato “Porto a spasso il mio budino”. Il tutto al sapor d’effimero, di ciò che esiste e tra un’ora potrebbe sciogliersi, tra un giorno evolversi, come la moda, tutte le mode di oggi che travolgono ogni personalità. O è invece segno di affermazione del sè indossare un tulle di silicone sopra un abito o appenderlo al muro come fosse un’opera d’arte? Anche la serie degli chemisier ha nomi esilaranti: “Abbottonati per sempre”, “Dimora temporanea del mio corpo”, “reale o regale giornata”per finire con “Albero di Natale” illuminato dalle lampadine. Di silicone anche il suo “Bikini salvagente” e così la serie delle borse del genere “A spasso con il mio giardino di papaveri” e “Passeggiata effimera”. Le invenzioni non finiscono mai, al pari delle trasparenze che sono figlie di un altro filone creativo, quello sul ferro che ha partorito abiti scultura, quasi piccole gabbie leziose per corpi imperfetti; e gioielli da passeggio, con ferro torto e inerpicato su perline colorate.
Nella sua inesauribile vena creativa – speriamo duri a lungo – Elvezia ha lavorato col mosaico: per la Trend di Pino Bisazza ha creato bikini e monili di tessere musive, a conclusione di un percorso iniziato alla fine degli anni ’90 con i mobiles.
Se c’è comunque un filo ininterrotto in tanta produzione è il riciclo, il recupero del materiale povero, l’arte materica di infima provenienza. Minimal e neppure chic. Ma di grande genialità creativa e soprattutto rapportata all’identità femminile che accompagna come un marchio Elvezia nella sua ricerca di genere.
Qualche nota biografica per mettere più luce sul personaggio: Elvezia è nata nel 1965 a Schio, ha una formazione da ceramista – le è servito per l’inclinazione decorativa – all’Istituto d’arte Fabris di Nove, ha anche una qualifica in operatrice del restauro architettonico ottenuta ai corsi Engim del Patronato Leone XIII. Dal ’94 ha esposto in varie gallerie di Milano, Venezia, Verona, Padova, Mestre e Torino.
Tra le esperienze che lei ritiene più significative c’è anche la selezione di alcune sue opere alla Biennale January di Chicago del 2003; e la partecipazione alle attività dell’associazione “Arte da Mangiare” di Milano e “Tabula rara design” di Padova. In tutte le occasioni ha proposto oggetti inverosimili, che evocano sogno e desiderio. Gioielli filosofici dalle etichette suggestive: “Monili floreali” perchè spiega «semina di te stesso ciò che hai di più prezioso»; “Monili usa e getta. Consumismo estetico”; “Monili ex voto” perchè, dice, “il profano dorato e luccicante serba un’anima incastonata compagna di riconoscenza amica”.
La prossima frontiera? Dopo il filo di ferro cotto degli abiti da appendere, potrebbe essere la polpa di cellulosa, frutto anche delle lezioni di restauro: «Oppure potrei tornare alla terra madre, la materia primigenia… sarà anche perchè abito in campagna…».